Scuola, grande richiesta di tamponi. Pediatri: 5 giorni per esito sono troppi

Scuola, grande richiesta di tamponi. Pediatri: 5 giorni per esito sono troppi

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da doctor33.it (modif.)

La scuola è da poco ripresa e ad essere presi d’assalto sono i pediatri, «sommersi dalle telefonate di genitori che richiedono il tampone per i loro figli, preoccupati per sintomi che pure in questa stagione sono nella norma: tosse, febbre, problemi gastrointestinali. Disturbi che, però, ora è necessario distinguere da un’infezione da coronavirus», spiega all’Adnkronos Salute Paolo Biasci presidente nazionale della Federazione italiana medici pediatri (Fimp).

Il problema è che l’esito del tampone naso-faringeo per il coronavirus sul territorio richiede dai 4 ai 5 giorni, ma «se lo stesso paziente va in pronto soccorso la risposta arriva in 4 ore». Una differenza che, con l’apertura delle scuole e «l’inabitabile boom di richieste ai pediatri di test per bambini e ragazzi con sintomi di un’infezione, rischia di paralizzare il sistema».

L’appello dei pediatri è, dunque, quello di ridurre la disparità tra i tempi dell’ospedale e quelli del territorio, soprattutto in questa fase in cui per i pediatri aumenta il carico. «Si è fatto un gran parlare – continua Biasci – di territorio in questi mesi ma cosa è stato fatto per risolvere il problema dei tempi d’attesa per le risposte ai tamponi? Se come pediatra, infatti, avessi la possibilità di ricevere gli esiti del test nel giro di 24 ore, io potrei non bloccare la famiglia, non bloccare la frequenza a scuola. Il sistema funzionerebbe in maniera quasi normale. Il problema è organizzativo».
Intanto il segretario del Sindacato dei medici pediatri di famiglia, Rinaldo Missaglia esorta i genitori «ad avere fiducia sul fatto che le scuole, se verranno applicate le norme su distanziamento, sanificazione e uso di protezioni, non sono un luogo meno sicuro di altri. Auspichiamo che gli insegnanti non si facciano prendere da troppo zelo o paura nell’interpretare i sintomi, che non sopravvalutino uno starnuto o un colpo di tosse, molto comuni in questa stagione senza sottintendere una malattia e men che meno Covid. Non diciamo di fare gli struzzi e mettere la testa sottoterra, ma solo non sovraccaricare servizi che devono essere dedicati al contrasto di un eventuale rilancio dell’epidemia». Ora, prosegue Missaglia, «pensiamo che ci sarà un assestamento, avremo l’interruzione per le elezioni, e verso ottobre vedremo se i casi sono in aumento o no e se le maglie vanno allargate o no. Noi proponiamo di non limitare l’indicazione alla sola presenza di 37,5 gradi di temperatura, che ha scarso significato, ma anche la presenza di altri sintomi associati, maggiori (molto legati alla malattia come la perdita di gusto e olfatto) e minori simil-influenzali. Chiediamo di fare caso all’insorgenza rapida di un rialzo di temperatura, che è segno di infezione abbastanza evidente, rispetto a innalzamenti graduali che potrebbero essere anche di tipo metabolico. Pensiamo di poter produrre una tabella che renda insegnanti e responsabili Covid un pochino più coscienti nell’inquadrare i soggetti da allontanare. Motivo in più a sostegno dell’importanza di velocizzare i risultati dei tamponi», insiste il pediatra.

marco

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