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Papà italiani più vecchi d’Europa: quasi 36 anni l’età media per il primo figlio

DA QUOTIDIANPEDIATRIA.IT

Diventare papà per la prima volta è un’esperienza che gli uomini italiani continuano a spostare sempre più avanti nel tempo, più di quanto si faccia negli altri Paesi europei. I più recenti dati Istat indicano, infatti, che in Italia si diventa papà mediamente a 35,8 anni, mentre in Francia a 33,9 anni, in Germania a 33,2, in Inghilterra e Galles a 33,7 anni. Un fenomeno sempre più frequente rispetto al passato che riguarderebbe circa il 70% dei nuovi papà italiani: ciò significa che 1 uomo su 3 è ancora senza figli oltre i 36 anni d’età. Per questo, in vista della Festa del Papà, gli esperti della Società Italiana di Andrologia (SIA) puntano i riflettori sull’importanza di anticipare la paternità e, dove non possibile, di preservare la fertilità fin da giovani, principalmente attraverso un sano stile di vita, ma anche con il contributo di sostanze di estrazione naturali in grado di offrire protezione contro i danni del tempo e degli inquinanti ambientali esterni.

Una tendenza a ritardare la paternità che non è priva di conseguenze: numerose evidenze scientifiche dimostrano che le caratteristiche funzionali dello spermatozoo, cioè motilità, morfologia e anche i danni al DNA, peggiorano con l’aumentare dell’età. A tutto questo si aggiunge al fatto che con l’avanzare dell’età aumenta il tempo di esposizione agli inquinanti ambientati esterni, come le microplastiche che negli ultimi anni hanno dimostrato essere un problema rilevante per la fertilità maschile. In più i cambiamenti climatici con l’aumento della temperatura globale hanno anch’essi un impatto negativo sulla fertilità maschile, dimostrato dalla riduzione volumetrica dei testicoli nella popolazione generale.

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Morbillo, allarme epidemia in Gran Bretagna dopo il calo delle vaccinazioni. E in Italia?

da corriere.it

In Gran Bretagna, dopo che per anni sono diminuite le percentuali di vaccinazione dei bambini, ora si parla di «epidemia di morbillo», come riferisce il New York Times. Tra il 1° ottobre 2023 e la fine di febbraio di quest’anno, secondo i dati dell’Agenzia inglese per la sicurezza sanitaria,  sono stati confermati 650 casi di morbillo. E ora si sta pensando a come affrontare i livelli troppo bassi di immunizzazione: 84,5% alla fine dell’anno scorso, rispetto alla soglia di sicurezza del 95%, ma a Londra si è registrato un tasso di copertura, ancora inferiore, pari al 73,1%. C’è da preoccuparsi anche in Italia per il «ritorno» del morbillo? Cosa fare?

La diffusione di questa malattia infettiva molto contagiosa e che può diventare anche pericolosa è in aumento in tutta Europa, tanto che la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ha di recente lanciato l’allarme, invitando tutti gli Stati membri a massimizzare gli sforzi per raggiungere e mantenere un’elevata copertura vaccinale per il morbillo e tutte le altre malattie prevenibili con i vaccini. Nel 2023, i casi di morbillo nel continente europeo, sono aumentati di oltre 40 volte, rispetto all’anno precedente, passando da meno di mille a oltre 40 mila. E sono stati registrati 21mila ricoveri ospedalieri e 5 morti. Ma la malattia, sottolinea l’Oms, si può prevenire col vaccino e nessuno dovrebbe più morire di morbillo.

 

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Profilassi bronchiolite da Vrs. Ausl Valle D’Aosta: “Ottimi risultati da nuova profilassi ai neonati”

da quotidianosanita.it

La nuova profilassi con l’anticorpo monoclonale Nirsevimab per tutti i nuovi nati è partita il 20 dicembre 2023. L’adesione è stata di circa il 65% e nessuno dei bimbi e neonati che hanno ricevuto il farmaco è stato ricoverato per bronchiolite. I ricoveri che l’anno scorso avevano messo in seria difficoltà il reparto (49 fino al 04/02/2023), nello stesso periodo del 2024 si sono ridotti del 62% (19) e quasi tutti all’inizio della campagna di profilassi.

L’Azienda USL comunica i primi, “ottimi” dati sulla campagna di profilassi della bronchiolite da Virus Respiratorio Sinciziale (VRS) che la Valle d’Aosta ha lanciato a dicembre, prima regione in Italia insieme a altri Paesi come Francia, Stati Uniti e Canada. I piccoli pazienti che hanno avuto bisogno di ricovero per questa malattia si sono più che dimezzati: finora, al 4 febbraio 2024, 19 casi contro i 49 registrati nello stesso periodo della scorsa stagione: una riduzione del 62%. “Un risultato davvero incoraggiante tenuto anche conto che quest’inverno la patologia risulta particolarmente virulenta e ha messo, e sta ancora mettendo, in ginocchio moltissime Pediatrie del Paese”, si legge nella nota dell’Ausl.

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